Investigazioni private sui dipendenti: sono legittime o violano la privacy?
Il tema delle investigazioni private sui dipendenti è un tema frequente e attuale. Sono sempre di più le aziende che decidono, quando la situazione sembra non essere chiara, di ‘controllare’ l’operato dei loro dipendenti e per farlo, il più delle volte, assumono un investigatore privato. Come vedremo di seguito, però, esistono dei limiti e delle regole da rispettare per evitare di violare il diritto alla privacy delle persone.
Poteri e limiti del datore di lavoro
Ogni contratto di lavoro si caratterizza per la supremazia del datore di lavoro e per la corrispondente posizione di soggezione del lavoratore. Nella sua qualità di creditore di lavoro subordinato, il datore di lavoro esercita nei confronti del lavoratore, oltre al potere direttivo e al potere disciplinare, anche il potere di controllo volto a verificare l’esatto adempimento degli obblighi del dipendente. Tale potere di controllo, però, non è assoluto, ma è soggetto a vincoli tesi a garantire il rispetto del diritto del lavoratore alla tutela della sua dignità e riservatezza.
Il datore di lavoro, ad esempio, ha il potere di controllare che il lavoratore, nell’esecuzione della prestazione lavorativa, usi la diligenza dovuta, osservi le disposizioni impartitegli, rispetti gli obblighi di fedeltà sullo stesso gravanti.
Lo Statuto dei lavoratori, entrato in vigore con la legge n.300 del 20 maggio 1970, ha circoscritto con precisione i limiti entro i quali il datore di lavoro può esercitare il proprio potere di controllo.
Gli articoli dello Statuto a tutela della riservatezza dei lavoratori
Al fine di tutelare la dignità, la libertà e la riservatezza dei lavoratori, gli art. 2, 3 e 4 dello Statuto dei lavoratori individuano a tal proposito specifici limiti.
L’art.2, Guardie giurate, prevede che il datore di lavoro può impiegare le guardie giurate solo per scopi di tutela del patrimonio aziendale. Le guardie non possono contestare ai lavoratori fatti o azioni diverse da quelle che attengono la sfera della tutela del patrimonio stesso e, inoltre, non hanno il permesso di accedere nei locali dove si svolge l’attività lavorativa per controllare l’operato dei lavoratori in quanto quest’azione costituisce un illecito.
L’art.3, Personale di vigilanza, prevede che i nominativi e le mansioni di tale personale siano note a tutti i dipendenti.
L’art.4, Impianti audiovisivi, prevede il divieto dell’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Ogni abuso verrà ritenuto un illecito.
“Spiare” i dipendenti: quando è lecito
Nonostante questi articoli siano così limitativi e si pongano a tutela del lavoratore e della sua dignità, lo Statuto non preclude al datore di lavoro la possibilità di ricorrere ad agenzie investigative per controllare l’operato del lavoratore purché questo avvenga fuori dalla sede operativa.
Se è vero, dunque, che il datore di lavoro non può mai controllare il dipendente mentre sta lavorando e ha il divieto categorico di verificare se esegue correttamente le mansioni assegnategli, è anche vero però che può farlo alla fine dell’orario di servizio. In tal caso, infatti, il pedinamento non si risolve in un controllo sulla prestazione lavorativa e sull’efficienza dello stesso, ma su comportamenti esterni che potrebbero ugualmente danneggiare l’azienda. Si pensi, ad esempio, al dipendente in malattia che, in realtà, sta benissimo, o a quello che usa i permessi della legge 104 per fare una gita, o ancora a quello che ha un secondo lavoro in concorrenza con quello del datore.
Dunque, i controlli dell’agenzia investigativa sono legittimi e non violano la privacy del dipendente solo se:
- effettuati in luoghi pubblici, ossia né in azienda né all’interno della dimora del lavoratore (ove sussiste il divieto di interferenze nella vita privata);
- riguardano fatti estranei alla prestazione lavorativa: pertanto è vietato il pedinamento del dipendente in missione se eseguito per verificare come si comporta con i clienti e i fornitori; è lecito invece se eseguito al fine di accertare se questi sta davvero svolgendo i compiti che gli sono stati impartiti dal datore di lavoro.
L’investigatore privato, quindi, non viola la privacy dei dipendenti se si apposta all’uscita dell’azienda per controllare chi va via prima dell’orario di chiusura e dove si reca. Il pedinamento del lavoratore che non rispetta i propri turni e abbandona il posto di lavoro anzitempo è lecito.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile- L, Ordinanza 20 novembre 2018 – 1 marzo 2019, n.6174
A proposito della liceità delle investigazioni private e della tutela della privacy del lavoratore si è espressa l’ordinanza n.6174/19 del 1° marzo 2019.
Con questa sentenza la Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede e per effetto respingeva la domanda proposta da S.S. nei confronti di Rete Ferroviaria Italiana (RFI) per l’impugnazione del licenziamento disciplinare ricevuto.
RFI contestava al lavoratore di essersi ripetutamente assentato dal posto di lavoro durante l’orario di servizio rimanendo assente per diverso tempo (da 15 minuti a più di un’ora) senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio. L’azienda era venuta a conoscenza di tali illeciti grazie a delle investigazioni private svolte al di fuori dell’ambiente lavorativo.
Di contro, il lavoratore, aveva fatto appello all’illegittimità delle indagini investigative e alla possibile violazione della sua privacy.
Nel caso in esame, però, il controllo non era diretto a verificare le modalità di adempimento della prestazione lavorativa, bensì «la condotta fraudolenta di assenza del dipendente dal luogo di lavoro nonostante la timbratura del badge». Non sussisteva, quindi, una violazione della privacy del lavoratore seguito nei suoi spostamenti, in quanto il controllo era effettuato in luoghi pubblici e finalizzato ad accertare le cause dell’allontanamento. La Corte aveva perciò rigettato il ricorso.
Secondo la Cassazione è legittimo il licenziamento in tronco di un dipendente per essersi ripetutamente allontanato dall’ufficio durante l’orario di servizio senza timbrare il badge in uscita e facendo così risultare la regolare presenza in servizio.
Quanto alla legittimità dell’attività svolta dall’agenzia investigativa, la Cassazione ha ricordato che i controlli del datore di lavoro, anche a mezzo di agenzia investigativa, sono legittimi ove siano finalizzati a verificare comportamenti del lavoratore che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti o integrare attività fraudolente, fonti di danno per il datore di lavoro; non possono invece avere a oggetto l’adempimento/inadempimento della prestazione lavorativa in ragione del divieto previsto dallo Statuto dei lavoratori.
Le investigazioni aziendali
È necessario, quindi, alla luce di queste osservazioni, che un datore di lavoro valuti attentamente le azioni da intraprendere. Le indagini aziendali hanno come scopo principale quello di raccogliere informazioni precise e prove sui lavoratori al fine di tutelare gli interessi aziendali. Queste indagini possono essere richieste dal titolare dell’azienda o dal legale rappresentante o da chi ha il potere di prendere queste decisioni.
Le investigazioni aziendali possono essere fatte per effettuare delle verifiche sul personale, sulla fedeltà di soci e dipendenti, per la tutela del patrimonio scientifico e tecnologico, per la tutela di marchi e brevetti, per casi di concorrenza sleale, per illeciti da parte del prestatore di lavoro.
Le indagini sul personale e quelle pre-assuntive oggi sono sempre più frequenti.
Le prime sono generalmente finalizzate per verificare i casi di assenteismo, di false malattie, le false timbrature di cartellini, gli abusi dei permessi aziendali e quelli con la legge 104.
Le seconde, invece, sono mirate a valutare l’excursus professionale del candidato, verificandone le referenze professionali, i feedback reputazionali che ne confermino la correttezza ed integrità morale.
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Fonte: Diritto e Giustizia/BD Business Defence Srl