Azione civile dei singoli creditori nei procedimenti penali per bancarotta fraudolenta
Nota a Corte di Cassazione, Sez. V Penale, Sentenza 23 giugno 2021, n. 24588
Nella vicenda in questione, agli imputati - l’uno in qualità di Presidente del C.d.A., l’altro quale Consigliere di una S.r.l. dichiarata fallita nel corso del 2010 - veniva contestato di aver distratto alcune somme di denaro mediante prelievo dai conti di corrente della fallita al fine di creare una provvista a favore di altre s.r.l., amministrate dalle mogli dei due odierni imputati, le quali avevano utilizzato tali somme per acquistare alcuni beni della fallita.
Tutto ciò premesso, la Suprema Corte respinge in prima battuta l’assunto difensivo volto a ricondurre l’acquisto dei beni della fallita quale "reintegrazione" del patrimonio della fallita stessa; nello specifico, secondo la ricostruzione difensiva, le uscite di denaro oggetto di imputazione sarebbero "subito rientrate nel patrimonio sociale quale prezzo della cessione di alcuni beni alla (omissis) s.r.l.", reintegrando così l’assetto patrimoniale della fallita.
Nel confermare le conclusioni a cui erano pervenuti i giudici di merito, la pronuncia afferma che le "somme furono in parte utilizzate dalla società (omissis) per acquistare alcuni beni della (omissis)" e che tale circostanza "non configura una reintegrazione patrimoniale in favore della fallita, in quanto le somme furono corrisposte alla (omissis) non già a titolo di pagamento del prezzo di acquisto dei beni alienati; invero, le cessioni effettuate da (omissis) a (omissis) s.r.l. erano state precedute o coincidevano con i prelevamenti ascritti agli imputati [....] in altri termini, i coimputati prelevano denaro dalle casse sociali e lo giravano alle proprie mogli, le quali, personalmente, ovvero attraverso la società (omissis) acquistavano - utilizzando risorse distratte dal patrimonio della fallita - i beni della (omissis), così depauperando la società".
Proseguendo poi, la pronuncia in esame conferma l’orientamento giurisprudenziale secondo cui è consentita - nei termini che si ripercorreranno fra un istante – l’azione civile dei singoli creditori nei procedimenti penali per fatti di bancarotta.
In questo senso, la Suprema Corte ricorda in linea generale che "è pacifico che, in tema di reati fallimentari, ai sensi dell’art. 240, comma 2 l.f., il singolo creditore è legittimato in proprio a costituirsi parte civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta nella sua qualità di persona danneggiata dal reato, quando fa valere una richiesta di risarcimento a titolo personale (Sez. 5, n. 6904 del 04/11/2016)".
Nello specifico, "i creditori sono legittimati ad esercitare l’azione civile nel procedimento penale per bancarotta fraudolenta in ogni caso in cui tale azione non sia esercitata dal curatore (c.d. legittimazione sussidiaria)"; inoltre, ove i creditori "intendano far valere un titolo di azione propria, personale (c.d. legittimazione principale), la costituzione di parte civile è consentita in concorso con quella esperita dal curatore [...] i creditori sono legittimati "uti singuli" ad esercitare l’azione civile nel procedimento penale per il delitto di bancarotta fraudolenta quando intendano far valere un titolo di azione propria, personale, come nel caso di danni non patrimoniali patiti dalla consumazione del reato [...]".
Nel caso di specie, il creditore si era costituito parte civile chiedendo "il ristoro del danno morale derivato dal depauperamento fraudolento dei risparmi di una vita, non già del danno patrimoniale": un’azione "del tutto diversa, nel petitum, da quella esercitata ex art. 240 l.f. dalla curatela fallimentare".
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Fonte: Il Sole 24 Ore/Business Defence