Banche a rischio esplosione NPL con nuove norme UE su conti correnti
Ammontano a oltre 122 miliardi di euro i crediti deteriorati in pancia alle banche italiane. La fetta più rilevante delle rate non rimborsate, a fine 2020, è riconducibile alle aziende con 83,1 miliardi, mentre le imprese familiari hanno arretrati per 8,9 miliardi e le famiglie per 16,6 miliardi. A livello territoriale si registra un equilibrio generale sul totale dei crediti “marci”, mentre le regioni meridionali risultano in preoccupante vantaggio con i prestiti scaduti e con le sofferenze. Sono questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa, che disegna la geografia bancaria delle rate non pagate, dalla quale emerge che le imprese familiari e le famiglie hanno difficoltà maggiori al Sud: su 8,9 miliardi totali di crediti marci di imprese familiari, il 56,4% è riferibile al Mezzogiorno e su 16,6 miliardi di arretrati legati alle famiglie, il 58,2% è nei territori meridionali.
“La nostra fotografia è la spia di una situazione da tenere sotto stretta osservazione: manca liquidità, ragion per cui famiglie e imprese non riescono più a onorare le scadenze con gli istituti di credito; – ha commentato il segretario generale di Unimpresa, Raffaele Lauro – alcuni territori si troveranno a fronteggiare vere e proprie emergenze, ma già oggi emerge, nel Mezzogiorno, un quadro da allarme rosso. Temi, questi, finora ignorati o solo parzialmente affrontati sul piano politico, ma che purtroppo diventeranno crisi non più gestibili, sia da un punto di vista economico sia da quello sociale, quando nei prossimi mesi i danni cagionati dal Covid saranno irreparabili”.
Sul totale di 122,3 miliardi di crediti deteriorati, 62,4 miliardi sono classificati come sofferenze, la categoria peggiore, altri 55,1 miliardi sono inadempienze probabili e 4,9 miliardi sono, invece, prestiti scaduti. Quanto alla ripartizione territoriale, i crediti deteriorati sono distribuiti in ragione del 50,8% (62,1 miliardi) al Nord e per il 49,2% (60,1 miliardi) al Centro, al Sud e nelle Isole, con un sostanziale equilibrio tra il blocco delle regioni settentrionali e quelle meridionali. Per quanto riguarda le sofferenze, il 48,3% è al Nord (30,1 miliardi) mentre il 51,7% è al Sud (32,2 miliardi). Proporzioni ribaltate, poi, per quanto riguarda le inadempienze probabili: il Nord ricopre un 55,2% del totale nazionale (30,3 miliardi), mentre il Sud che si ferma al 44,8% (24,3 miliardi). Torna in vantaggio il Sud, invece, per quanto riguarda i prestiti scaduti con il 67,1% del totale (3,2 miliardi), con il Nord che arriva al 33% (1,6 miliardi).
Nel Mezzogiorno sembrano avere significative difficoltà, in particolare, le imprese familiari e le famiglie: sul totale di 8,9 miliardi di crediti deteriorati riconducibili alle imprese familiari, infatti, il 56,4% è legato a clientela residente al Centro, al Sud e nelle Isole, contro i 3,8 miliardi di clientela residente al Nord (43,6%). Per quanto riguarda, poi, le famiglie il totale dei crediti deteriorati ammonta a 16,6 miliardi: di questi, 9,6 miliardi (58,2%) è legato a clientela residente al Centro, al Sud e nelle Isole, mentre 6,9 miliardi sono riferibili a clientela residente al Nord (41,8%).
Rischio boom NPL con nuove norme UE
Unimpresa in un’altra nota sottolinea come con le nuove regole europee sui conti correnti e sui ritardi dei pagamenti, potrebbe verificarsi un’esplosione repentina e problematica dei non performing loan nei bilanci delle banche. C’è il rischio concreto, dunque, che il risultato finale vada nella direzione diametralmente opposta a quella auspicata dall’Autorità bancaria europea nel momento in cui, a luglio 2016, ha emanato le norme in vigore dallo scorso 1 gennaio.
È quanto rileva il Centro studi di Unimpresa, secondo il quale la stretta dell’Eba potrebbe comportare, inoltre, una sensibile riduzione del credito bancario a imprese e famiglie. Secondo Unimpresa, una delle novità più rilevanti riguarda la soglia degli arretrati: fino allo scorso 31 dicembre, infatti, un debitore era considerato in stato di default se aveva pagamenti arretrati per più di 90 giorni in misura pari al 5% del suo debito: adesso la percentuale è cala all’1%. Le nuove norme comportano anche lo stop alle compensazioni tra linee di credito e raddoppiano lo stato di default: il cliente resta in stato di default, dopo la regolarizzazione dei pagamenti, per altri 90 giorni; fino allo scorso 31 dicembre, invece, lo stato di default terminava saldando i debiti pregressi. Per quanto riguarda la soglia degli arretrati, per fare un esempio, su una linea di credito di 100.000 euro, la soglia rilevante degli arretrati è crollata da 5.000 euro a 1.000 euro: di fatto è stata cancellata la flessibilità delle banche che è essenziale sia per le famiglie sia per le imprese.
«L’Eba ha scritto queste norme per arginare la crescita dei crediti deteriorati, ma temo che si otterrà l’effetto contrario e per una ragione molto semplice: le banche concederanno meno prestiti e saranno costrette a chiedere alla clientela, sia imprese sia famiglie, di rientrare delle precedenti esposizioni. Ragion per cui, proprio le imprese e le famiglie – il fenomeno riguarda 15 milioni di soggetti – si troveranno in difficoltà, i problemi saranno diversi: onorare le scadenze con le banche, pagare i fornitori e i dipendenti, versare le tasse e i contributi previdenziali» commenta il vicepresidente di Unimpresa, Salvo Politino. «Per quanto riguarda gli istituti di credito, saranno costretti a fare maggiori accantonamenti per coprire l’aumento repentino degli stessi npl e in ogni caso dovranno gestire i rapporti con la clientela avendo meno flessibilità a disposizione. Basta avere piccoli arretrati per trovarsi nei guai: un ritardo di 90 giorni pari a 100 euro per le famiglie e 500 euro per le imprese comporta la segnalazione alla Centrale rischi, passaggio che si traduce in tre anni di blocco ai rapporti con le banche, dai nuovi prestiti alle carte di credito» spiega il vicepresidente di Unimpresa. «Imprese e famiglie hanno meno liquidità a disposizione ed è un dramma in una fase complessa, con una situazione economica resa drammatica dagli effetti della pandemia» aggiunge Politino. «L’Abi sostiene di aver battuto i pugni sul tavolo da tempo: a noi, tuttavia, risulta che la prima mossa concreta sia stata fatta solo il 28 dicembre scorso, con una lettera indirizzata all’Unione europea, due giorni dopo il nostro comunicato stampa che ha posto la questione al centro del dibattito pubblico per la prima volta: se si parla di questo argomento, insomma, è merito nostro» osserva il vicepresidente di Unimpresa.
Fonte: Finanza Online