Bernardo Caprotti, il numero uno visto da un cliente
Ora che Bernardo Caprotti, il co-fondatore e numero uno di Esselunga, ha lasciato a 91 anni questo mondo, di lui si parlerà in mille modi. Si ragionerà sul futuro di un gruppo che non ha un erede e non ha ancora deciso quale sarà il suo nuovo proprietario. Si parlerà dei suoi rapporti con i figli, così anomali nella loro durezza per la nostra società familista. Si ricorderanno le sue denunce al sistema Coop e ai suoi legami con la politica, denunciati nel suo libro Falce e Carrello (Marsilio). Si parlerà dei suoi appoggi alla politica, Berlusconi in testa. Delle sue battaglie sindacali, dure e viziate dalla politica, come mi ha confidato un sindacalista che quelle battaglie le visse. Dei suoi sodalizi e delle sue rotture con i primi compagni di strada, il fratello Guido e Marco Brunelli, che poi fondò i supermercato Gs e Finiper. Chi ha la passione per gli aeroporti si ricorderà la sua sfida per rendere lo scalo di Brescia il vero hub del Nord, al posto del periferico Malpensa. Commissionò uno studio e lo presentò al Rotary. I più lucidi tra gli osservatori non poterono che concludere: fuori tempo massimo ma ineccepibile. Si ricorderanno le sue frecciate a Oscar Farinetti (“Uno che ha sempre venduto elettrodomestici ora ci insegna a vendere l’alimentare”), che tra i suoi ricambiava: “A che ti serve essere tanto bravo e avere tanti soldi, se poi non parli con i figli?”. Si parlerà anche delle vicende giudiziarie recenti, con la condanna di diffamazione assieme a Belpietro e Nuzzi per una campagna giornalistica ai danni di un dirigente di Coop Lombardia. Spunterà fuori una limitata ma illuminante aneddotica. Come quando in un’intervista al Fatto Quotidiano un paio d’anni fa disse, nel suo ufficio con vetrate da cui poteva osservare i dipendenti, come il padrone della fabbrica di Pastorale Americana: “Non mangio da due giorni, ieri sono stato operato”. O ancora, alla domanda se fosse mai stato interessato a yacht e vacanze, rispose (vado a memoria) “La mia unica passione sono i fucili da caccia” e “Se avessi viaggiato non avrei potuto fare la cosa che amo di più, girare per i supermercati il sabato”. Se tutti noi, da Roma in su (come noto per scelta non ha mai aperto sotto la capitale, dove peraltro ha ottenuto una licenza ad aprire dopo una lunghissima attesa), stiamo a rattristarci per la scomparsa di questo Imprenditore con la “i” maiuscola, tuttavia, è perché ci ha accompagnato in una parte per niente marginale della nostra vita. Narra la mia personale storia familiare che fu una Esselunga, probabilmente con il vecchio nome di Supermarket (con la “esse” lunga nell’insegna che poi darà il nome alla catena) il primo posto visto e visitato a Milano quando nonna e figli raggiunsero il nonno dalla Sicilia, nel lontano 1962. Di questa storia lunghissima, quella dei supermercati in Italia, Caprotti è stato l’inventore, dopo un periodo in America dove era stato mandato dall’azienda tessile familiare. E dopo l’incontro, in Italia, con i Rockfeller, che provarono senza successo a convincere i proprietari della Rinascente a entrare come soci di minoranza in una nuova società. Il loro posto fu preso dai fratelli Caprotti e da Marco Brunelli.
Il successo italiano
Da allora la loro storia si intreccia con quella di noi consumatori. A me personalmente la scintilla scattò nei primissimi anni Ottanta, quando una campagna di marketing geniale camuffò frutta e verdura in personaggi dell’immaginario collettivo. Spuntarono, per chi se li ricorda, i Melanzana Jones, Rapanello Sanzio, John Lemon, InsalAttila, fino al Mago Melino che poi divenne il simbolo della app. A proposito, la tecnologia: in mondo della distribuzione, come quello italiano, in cui ancora si sta a sperimentare il click&collect, da moltissimi anni Esselunga permette la spesa a domicilio, ordinabile online. C’è tutto, anche il fresco e i surgelati, che gli altri non sono mai riusciti a portare. La tecnologia è quella che sta dietro alle carte fedeltà (Esselunga fu pioniera) e ai sistemi di self checkout ma anche ai lettori di codici a barre portatili messi nelle mani dei clienti. Ci sono state le campagne premi azzeccatissime, ultima di una lunghissima fila quella dei Rollinz, i personaggi rotolanti di Star Wars. Ma le case dei clienti Esselunga sono pieni di peluche, pentole, lenzuola, bicchieri di ogni tipo. Mentre le scuole italiane hanno beneficiato della raccolta “Amici di scuola”, che nella scuola di infanzia sotto casa ha fatto arrivare un proiettore e diverso altro materiale didattico. L’omaggio del consumatore va poi agli scaffali sempre pieni, con pochissime rotture di stock, segno di una logistica raffinatissima (celebrata anche in un documentario di Giuseppe Tornatore, “Il mago di Esselunga”), e di una gestione del personale ferrea. Chi ha lavorato tra gli scaffali parla di un mondo con poche pause ma molta razionalità, che per certi versi ricorda la politica seguita da Amazon. Per i clienti questo approccio vuol dire poca coda alla cassa e rifornimenti veloci. Si potrebbe andare avanti, parlando della politica di sconti, dei prodotti a marchio, dell’introduzione graduale ma significativa di prodotti etnici, equi e solidali, biologici. Anche della scelta di non puntare troppo sui servizi su cui hanno negli anni scommesso i concorrenti, dai viaggi alla prenotazione delle visite mediche. Quel che conta è che tutto questo è arrivato. La catena di supermercati non ha solo i maggiori margini di redditività e non solo ha dato una lezione ai concorrenti francesi scottati molto di più dalla crisi. È da sempre ai massimi livelli di gradimento tra i consumatori. Soprattutto, non ha praticamente eguali in Europa. Qualche anno fa veniva paragonata al gioiello inglese di Tesco, che però finì in una bufera nata da falsicazioni contabili. Fu forse l’unica a cui Caprotti pensò veramente di vendere. Ora sarà il momento delle decisioni, sembra che in pole position ci sia Walmart, ma non si escludono sorprese da altre parti del mondo. Quando ho letto la notizia della morte di Caprotti, ieri sera, ero in metropolitana, in una stazione dove campeggiava uno dei tanti quadri di pittori italiani, francesi e olandesi tra 1600 e 1900 selezionati da Philippe Daverio. Sono stato a guardare una natura morta e mi è venuto da ringraziare quello che i suoi dipendenti da molti anni hanno chiamato semplicemente il Dottore. Fonte: Linkiesta