Così la scure Covid minaccia di abbattere i rating delle PMI italiane
La scure dei fallimenti non è ancora calata in modo significativo sulle piccole e medie imprese italiane, merito di una maggiore solidità dimostrata dal mondo produttivo rispetto al passato e naturalmente degli interventi di sostegno pubblici attuati in maniera immediata e massiccia per contrastare lo scoppio della crisi economica. Non c’è dubbio però che l’impatto del Covid si farà sentire presto, frenando lo sviluppo di un universo di aziende che negli ultimi cinque anni aveva mostrato lenti ma costanti segnali di miglioramento, che a questo punto minacciano di essere interrotti in modo brusco.
Oltre il 50% rischia di diventare «spazzatura»
Se si guarda al merito di credito, il rating di oltre la metà delle PMI italiane rischia infatti un declassamento di uno o due gradini, mentre per un ulteriore 20% si teme addirittura un calo di tre classi che porterebbe oltre il 55% del totale delle imprese a ingrossare il numero dei junk, i titoli «spazzatura» che rischiano il default.
A tracciare uno scenario così preoccupante è Modefinance, società fintech specializzata in soluzioni di intelligenza artificiale per la valutazione e la gestione del rischio di credito, la cui analisi si basa sullo studio di su un campione di 85mila aziende che presentano un fatturato tra 2 e 50 milioni di euro o un totale attivo massimo di 43 milioni e un numero di dipendenti compreso tra 10 e 250, e che al 30 novembre 2020 avevano depositato i bilanci 2019.
Un percorso bruscamente interrotto
La crisi scatenata dall’epidemia di coronavirus è arrivata proprio nel momento in cui il mondo delle PMI provava faticosamente a risalire la china e almeno dal 2015 si stava assistendo a un graduale miglioramento del rating.
L’analisi sui dati di bilancio evidenzia nell’arco temporale 2016-2019 miglioramenti sia sul fronte quantitativo, sia sotto l’aspetto qualitativo per le aziende del campione: un fatturato mediano in aumento da 41 a 49 milioni; un livello di indebitamento totale (leverage) rientrato entro livelli di sicurezza dal 3,4 al 2,7 e un indebitamento finanziario attestato a 0,72; un rapporto fra attività e passività correnti (current ratio, ovvero la capacità dell’impresa di ripagare i debiti a breve termine) in crescita da 1,33 a 1,40.
L’ecatombe dei rating
Quanto avvenuto nel corso del 2020 rischia di vanificare un simile processo virtuoso. In relazione al rating, la stima dell’impatto della crisi pandemica minaccia infatti di tradursi in un pericoloso quanto evidente spostamento di tutto il panorama societario verso i gradini inferiori della scala. Dal campione analizzato sparisce del tutto la classe delle triple A e le aziende in default salgono al 4,36% dallo 0,11% della situazione ante-Covid, mentre anche i rating «C» – situazioni a un passo dall’insolvenza - passano al 13,8% dall’1,11% e i «Cc» a quota 17,45% da 2,81 per cento.
L’ESERCITO DEGLI “ANGELI CADUTI”
Così cambia il rating delle Pmi italiane per effetto della crisi Covid
(Fonte: Modefinance)
Le proiezioni sul merito di credito del 2020, ed è questo forse il dato più impressionante che riassume il potenziale impatto del coronavirus, vedono il rating mediano dell’universo delle PMI italiane passare dalla classe «BB» a quella «CCC». È come un’onda che spazza praticamente via i livelli «AAA» e «AA» e crea potenzialmente un vero e proprio esercito di junk: il 55% del totale delle imprese appunto, rispetto al 10% circa dello spaccato 2019.
L’eccezione che conferma la regola (e l’asimmetria)
C’è anche chi si muove controtendenza e vede migliorare il giudizio, ma si tratta appena dell’1,36% delle PMI su cui è stata effettuata la simulazione (un altro 15% confermerebbe invece il giudizio).
È insomma la classica eccezione che conferma la regola e, semmai, denota la natura particolarmente asimmetrica della crisi, con regole imposte per la sicurezza sanitaria che hanno chiaramente determinato impatti diversi a seconda dei settori.
Ma le aziende italiane sono più resistenti di un tempo e si aggrappano al Recovery Fund
La nota positiva, in una situazione così incerta e cupa, è che il percorso effettuato nei precedenti anni non sarà stato del tutto inutile.
Per favorire un processo simile sarà vitale sfruttare bene il piano di finanziamenti Europei, Next Generation Eu, e la sua dotazione di 750 miliardi.
Lo spartiacque che si delinea è quello tra aziende che avranno capacità e lungimiranza di evolversi e adeguare il proprio modello di business e imprese che non saranno in grado di attirare finanziamenti sul mercato.
Fonte: Il Sole 24 Ore