Covid-19: posti di lavoro a rischio e nuove assunzioni. L'impatto in Italia.
Il covid-19 ha spinto tutti a rivalutare le proprie priorità, costringendo all’auto isolamento per proteggere se stessi e gli altri. Le necessarie misure restrittive e il successivo lockdown per fronteggiare la pandemia hanno però avuto un tremendo impatto sull’economia reale: aziende chiuse, ristoranti e bar in ginocchio, frenata del Pil e indebitamento sono l’effetto recessivo di quest’emergenza sanitaria. Eppure la crisi non colpisce tutti allo stesso modo.
Solo in Europa, il coronavirus mette a rischio quasi 60 milioni di posti di lavoro: quasi l’80% di questi è svolto da professionisti senza titolo di studio universitario.
A rivelarlo è uno studio della società di consulenza McKinsey: economicamente parlando, quelli che usciranno peggio da questo periodo nero saranno le persone senza laurea, dipendenti e professionisti con contratti a singhiozzo, con meno tutele e bassi guadagni. In altre parole, il virus rischia di inasprire lo scontro sociale latente, allargando il divario esistente tra ricchi e poveri.
Naturalmente, il livello di rischio varierà molto in base al comparto: ad esempio, i settori dove è più facile lo smartworking saranno meno danneggiati rispetto a quelli caratterizzati da attività che prevedono una certa prossimità fisica tra individui, con i colleghi o con il pubblico in generale (pensiamo ai ristoranti, ai parrucchieri o alle fabbriche). Ma al netto di queste differenze, i gruppi più vulnerabili sono quelli delle persone più giovani e con un più basso livello di istruzione, i lavoratori impiegati nei settori vendite e customer service, retail, ristorazione e turistico-alberghiero, costruzioni, servizi alla comunità, arte e intrattenimento.
I settori e le professioni più danneggiate dal Covid19
I ricercatori di McKinsey hanno usato precisi criteri per valutare figure e comparti che subiranno il maggior impatto negativo causato dalla pandemia. La prossimità fisica richiesta in alcuni mestieri e l’effetto sulla domanda di prodotti e servizi innescato dall’epidemia permettono di distinguere i comparti in diversi gruppi.
Le professioni con minor rischio contano oltre 160 milioni di occupati: sono coloro che non lavorano necessariamente vicino ad altre persone (es. contabili, architetti, giornalisti), quelli che forniscono servizi sanitari (es. medici, manager sanitari, conducenti di ambulanze) o altri servizi essenziali (es. polizia, istruzione, trasporto pubblico, produzione di cibo).
Le professioni con rischio intermedio includono 14,7 milioni di persone, che lavorano con altri individui ma non interagiscono con il pubblico, come operatori di macchine, lavoratori nelle costruzioni e psicologi.
Quelli ad alto rischio, invece, sono quasi 55 milioni e la maggior parte lavora a contatto con il pubblico, pensiamo agli addetti alle vendite nel retail, ai cuochi, ai parrucchieri, alle estetiste e agli attori.
Più in generale il 50% di tutti i lavori a rischio in Europa ricadono nei settori customer service e vendite, ristorazione e costruzioni. Meno condizionati saranno i professionisti dei comparti sanità, scienza, tecnologia, ingegneria, matematica, istruzione, business e professioni legali, si legge nel report.
Se poi si considera il rischio specifico per settore industriale, le occupazioni che saranno più colpite dalla crisi saranno quelli relativi a ristorazione e attività ricettizie, arte e intrattenimento, costruzioni e retail.
Che cosa significa ciò per il mercato del lavoro italiano? E, in prospettiva, quali saranno i settori che prima di altri si avvieranno ad una ripresa?
In Italia, secondo dati elaborati attraverso la piattaforma LinkedIn Hiring Rate e aggiornati al 10 aprile, le assunzioni sono in calo del -62% rispetto al 2019. Una diminuzione di ben 22 punti percentuali rispetto al precedente -40% anno su anno, registrato poche settimane prima.
Non solo: sul fronte dei dati pubblici, le cifre del mercato del lavoro italiano erano in qualche modo deludenti già a gennaio, quando il tasso di disoccupazione si era stabilizzato al 9,8%. Tuttavia, guardando con un pizzico di ottimismo ai prossimi mesi, il trend che si osserva, si evince dai dati, è simile a quello registrato ad esempio in Cina, dove fin dall’annuncio delle prime azioni di contenimento in ambito sanitario le assunzioni hanno iniziato a calare, per poi risalire una volta usciti dalla piena emergenza.
Nella Penisola accadrà qualcosa di analogo? Pur tenendo conto delle dovute e rilevanti differenze, guardando alla struttura economica del Paese e ai numeri alcune previsioni si possono forse azzardare.
Chi uscirà prima dalla crisi
Ciò non è vero per tutti i settori, naturalmente. Una volta che le attuali rigide misure di blocco verranno allentate o revocate del tutto e la spesa riprenderà, rimarca Mamertino, "ci aspettiamo una ripresa più o meno lenta a seconda dei diversi settori industriali considerati".
Una ripresa più rapida è prevedibile "in quei settori che fanno affidamento sulla spesa su beni durevoli che è stata ritardata a causa della crisi sanitaria, o in settori che possono più facilmente raggiungere un maggior numero di mercati esteri", stima l'economista. Quelli che impiegheranno più tempo a riprendersi sono, invece, "i settori che fanno maggiore affidamento sul reddito disponibile alle famiglie e sono particolarmente esposti all’attuale mancanza di fiducia da parte dei consumatori nella salute e sicurezza personale, come la vendita al dettaglio, l'entertainment e i viaggi".
Lo scenario italiano
In particolare, se si guarda all'Italia, molto dipenderà dal singolo settore industriale. "Quelli che sono tradizionalmente più dipendenti dalle esportazioni saranno più sensibili alle oscillazioni della domanda esterna, come il settore manifatturiero, ad esempio e potrebbero beneficiare relativamente di più di un pronto miglioramento delle condizioni economiche globali", evidenzia. Al contrario, "le industrie che si rivolgono principalmente a clienti e consumatori italiani, saranno più legate alle tendenze nazionali". Data la struttura dell'economia italiana, tuttavia, "è improbabile che la sola domanda esterna possa fornire lo slancio necessario per sostenere un rimbalzo delle assunzioni". Un pieno recupero dell'occupazione ai livelli pre-Covid19, tuttavia, "non potrà avvenire senza il superamento efficace e definitivo della crisi sanitaria", conclude l'economista.
Fonte: Business Insider/Linkedin/BD Business Defence