I numeri del lavoro in Italia nel 2016
Dati Istat allarmanti, la disoccupazione giovanile cresce dello 0,7% congiunturale e dell’1,1% tendenziale nonostante l’occupazione complessiva risulti in aumento su base annua.
A essere aumentato, infatti, è soltanto il numero degli occupati con più di 35 anni e in particolare gli over 50. Il numero di persone occupate tra i 15 e i 34 anni di età è rimasto stabile a 5 milioni nel corso degli ultimi tre anni.
Tradotto: anche se aumentano, i posti di lavoro non sono per chi ha dai 15 ai 34 anni.
Secondo il Young Yorkers Index elaborato dalla società di consulenza PwC lo scorso ottobre, l’Italia è l’ultimo Paese Ocse sui 34 analizzati per livello di occupazione, scolarizzazione e formazione professionale dei giovani tra 15 e 24 anni. Anche la Grecia fa meglio di noi. E, per la cronaca, la tanto vituperata Germania è al secondo posto, dietro alla sola Svizzera, e dà le piste pure agli Stati Uniti d’America, decimi. Come dire: forse non è solo dell’Euro, della flessibilità e dei surplus commerciali altrui che dobbiamo occuparci, quando ci lamentiamo della nostra condizione di Paese catatonico.
Ecco perché la questione cruciale per il 2017 sarà quella della disoccupazione giovanile.
Non è un dato che ci giunge nuovo, peraltro. E il voto antigovernativo, dello scorso 4 dicembre, non è che l’ennesimo tentativo di svegliare la politica dal suo torpore e dalla sua atavica tendenza a lisciare i capelli bianchi dei pensionati.
Da febbraio 2014 gli occupati a tempo indeterminato sono cresciuti del 3,3% mentre quelli a tempo determinato sono cresciuti dell’8,5%. Gli occupati a tempo determinato, che semplificando vengono spesso definiti “precari”, sono quindi aumentati più rapidamente di quelli a tempo indeterminato, una tendenza in corso oramai da molti anni e non solo in Italia. Nello stesso periodo il numero di disoccupati è diminuito di 1,5% rispetto all’inizio del governo Renzi, quando era al 13,1%. La disoccupazione giovanile, in particolare, è ancora al 36,4% uno dei livelli più alti d’Europa; era però al 43% quando Renzi arrivò al governo.
Cosa ha fatto il governo
Il governo Renzi ha realizzato due interventi principali sul mercato del lavoro: il Jobs Act e la decontribuzione. Il primo è una complessa riorganizzazione di numerosi aspetti della disciplina del lavoro. L’intervento più importante è stato l’introduzione del contratto a tutele crescenti, un contratto a tempo indeterminato che per i primi tre anni prevede un ridotto numero di tutele, in particolare dal licenziamento. Trascorso questo periodo iniziale il contratto si trasforma in un contratto a tempo indeterminato, con tutte le tutele previste in precedenza.
Il secondo intervento principale è stata la decontribuzione, rimasta in vigore per tutto il 2015. Questa norma ha permesso ai datori di lavoro di assumere dipendenti senza dover versare loro i contributi per tre anni. I contributi mancanti sono stati coperti dallo Stato che secondo le stime spenderà circa 15 miliardi di euro nel corso dei tre anni in cui i nuovi assunti nel 2015 godranno dell’incentivo.
Risultati
Secondo gli esperti, l’ottimo risultato del 2015 è frutto delle decontribuzioni che quell’anno hanno permesso ai datori di lavoro di assumere dipendenti a tempo indeterminato senza dover pagare loro i contributi per tre anni. Una volta cessata la decontribuzione, dal primo gennaio 2016, il numero di contratti a tempo indeterminato si è abbassato molto scendendo addirittura sotto il livello del 2014, quando non solo non c’erano decontribuzioni ma non era in vigore nemmeno il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act.
L’uso dei voucher, i buoni per pagare mini-lavori, è aumentato del 32 per cento nei primi dieci mesi del 2016, rallentando l’incremento che aveva raggiunto il 67 per cento nel 2015. Non è chiaro che cosa abbia causato questa crescita. Secondo alcuni nasconde fenomeni di sfruttamento o ai limiti della legalità, per esempio usare i voucher per pagare straordinari, ore aggiuntive di lavoro o per svolgere occupazioni che non sono saltuarie e occasionali. Secondo il governo, invece, i voucher hanno contribuito all’emersione di numerosi lavori che esistevano già ma prima venivano pagati in nero (ed in parte è probabilmente così).
In sintesi
Il mercato del lavoro italiano «sta lentamente migliorando», ma rimarrà sotto i livelli pre-crisi anche nel 2017 e continuerà a essere uno dei peggiori nel mondo sviluppato. Il tasso di occupazione è in aumento, ma rimane il terzo più basso di tutta l’area Ocse (dopo soltanto Grecia e Turchia).
La leggera ripresa del mercato del lavoro è distribuita in maniera diseguale tra le generazioni. I lavoratori più anziani e con più esperienza continuano a essere più ricercati, mentre il numero dei giovani che lavora resta stabile e la disoccupazione giovanile rimane altissima. Il numero di nuovi contratti a tempo indeterminato è continuato a crescere nel 2016, ma molto più lentamente che nel 2015, quando erano in vigore le decontribuzioni, e anche del 2014.
Cosa dicono gli esperti
Il dibattito sugli interventi del governo e sull’andamento del mercato del lavoro negli ultimi anni è stato molto animato, anche perché i dati sono in parte ambigui e contraddittori.
Sembra esserci più accordo sulle decontribuzioni, definite da molti un rimedio temporaneo che ha “drogato” il mercato del lavoro impegnando moltissime risorse dello Stato, ma senza produrre effetti a lungo termine.
Filippo Taddei, responsabile economico del PD, definisce la precarizzazione un effetto ottico dell’emersione del lavoro nero: a utilizzare strumenti come i voucher, ha scritto in un recente articolo su l’Unità, sono in molti casi persone che hanno un doppio lavoro che, in assenza di voucher, probabilmente continuerebbero a svolgerlo ma in nero.
Magari, occorrerebbe pure ricordarsi che oltre il 36% della popolazione tra i 15 e i 24 anni in cerca di un impiego non trova lavoro non per colpa della recessione, ma a causa del disequilibrio tra domanda e offerta, cosa che anche in questo caso fa di noi i fanalini di coda del mondo civilizzato. E che più che occuparsi di smontare pezzo per pezzo il Jobs Act con l’ardore dei peggiori controrivoluzionari, bisognerebbe lavorare al suo completamento attraverso l’implementazione delle politiche attive del lavoro sinora rimaste lettera morta.
Ed è importante che anche nel mondo della scuola, si continui ad avvicinare i ragazzi al mondo del lavoro, con l’alternanza e con programmi educativi che mettano al centro i nuovi saperi digitali, l’inglese e tutto ciò che serve per avere una professionalità adeguata ai tempi e a misura del bisogno di innovazione dell’economia italiana. E contemporaneamente si continui il percorso di incentivo e stimolo all’innovazione delle nostre imprese iniziato con il piano Industria 4.0, che più rimangono aggrappate al secolo scorso, più perderanno competitività e quote di mercato.
Secondo PwC la mancata messa al lavoro dei giovani brucia ogni anno 140 miliardi di Pil. Questo vuol dire che potenzialmente - formandola nel migliore dei modi e mettendola tutta al lavoro, nei posti giusti - la forza lavoro giovanile oggi seduta in panchina vale sette punti di prodotto interno lordo.
Basterebbe sfruttare un decimo di questa energia per cambiare il destino dell’Italia affinché la nostra economia riparta davvero !