Il prezzo del petrolio crolla ai minimi storici.
Uno degli indicatori economici dell’economia mondiale è il costo del greggio, che negli ultimi mesi ha subito una discesa verticale. Cosa significa tutto ciò per le nostre aziende?
L’inizio del 2016 è stato contraddistinto a livello finanziario dal crollo del prezzo di uno dei beni storici della finanza mondiale, ovvero il costo di un barile di petrolio. E’ notizia di questi giorni infatti che il prezzo del cosiddetto “oro nero” è sceso fin sotto la soglia psicologica dei 30 dollari al barile, ovvero ai minimi da 12 anni. Gli analisti hanno puntato il dito contro i problemi economici della Cina quale maggiore ragione per il calo dei pezzi del petrolio e delle commodity. Nel mese di gennaio, infatti, la Cina ha subito la svalutazione dello yuan e due sospensioni di emergenza delle attività di trading sui mercati azionari, causati da segnali di una crescita più debole del previsto. La Cina è il secondo maggior consumatore di petrolio dopo gli Stati Uniti, ed il suo rallentamento sta peggiorando i timori relativi ad un crescente eccesso nelle forniture di petrolio, che attualmente supera la domanda di circa 2 milioni di barili al giorno, secondo dati dell'OPEC.
E la picchiata sembra destinata a proseguire, se come pronostica sul Financial Times l’analista di Morgan Stanley, Adam Longxson: «Il petrolio a 20 dollari è possibile». La banca d’affari statunitense, in un report, evidenzia inoltre i rischi per le materie prime che potrebbero derivare soprattutto da ulteriori svalutazioni dello yuan. Ma questo scenario finanziario, a livello mondiale, cosa può significare per le nostre aziende? L'opinione di Paul Jackson, Responsabile della Ricerca Multi-Asset di Source, uno dei principali fornitori di Exchange Traded Funds (ETF) in Europa, è rassicurante: Nonostante le conseguenze negative del calo dei prezzi del petrolio, l’effetto netto sarà positivo per i mercati e l’economia mondiale nel 2016. Jackson afferma che i consumatori, le società e i governi traggono vantaggio in generale da prezzi delle materie prime più bassi e ha aggiunto: “Se il 2015 è stato l’anno in cui il calo dei prezzi delle materie prime ha penalizzato un numero ridotto di operatori economici, forse il 2016 rivelerà lentamente gli effetti positivi per tutti gli altri ; assegniamo una probabilitá del 25% a ció che viene definita “deflazione benigna”, in cui i bassi prezzi delle materie prime diminuirebbero l’inflazione e sosterrebbero la crescita economica. A giudicare dall’accelerazione delle vendite nel settore retail in Cina nel 2015, l’effetto potrebbe già farsi sentire”. A queste previsioni si affianca il rapporto di Goldman Sachs dedicato ai Paesi emergenti: “Dopo 6 anni di crescita sequenziale in calo per i mercati emergenti, i nostri economisti si attendono un pick up con tassi di crescita robusti in Messico e in Europa centrale e orientale. In particolar modo in Polonia e Ungheria, e un quadro misto in Asia”. Ma non è tutto oro ciò che luccica, se è vero che secondo Alberto Gallo, analista di RBS i ripetuti cicli di politiche monetario ultra allentate che seguono le banche centrali hanno invaso il mondo. Gli effetti collaterali sono una pessima distribuzione della ricchezza, una minor produttività e una serie di crescenti bolle finanziarie difficili da gestire. “Oltre setti anni dopo la crisi finanziaria, le nostre economie sono bloccate da una crescita timida, una disoccupazione persistente e una crescente disuguaglianza”, dichiara Gallo. Insomma: gli analisti mondiali concordano sul fatto che si può guardare al prossimo futuro con un misto di cautela ed ottimismo, senza però dimenticare che i rischi sono sempre in agguato, e una attenta valutazione degli stessi è indispensabile per una scelta consapevole. fonte: Wallstreetitalia.it