La tutela della privacy nell'epoca dei social media
Il tema che vede lo scontro tra grandi colossi della tecnologia e autorità per l'accesso ai dati di utenti coinvolti in attività criminali non accenna a placarsi, anzi: è notizia recente che in Sudamerica è stata la volta di Facebook.
O meglio di WhatsApp, la piattaforma di messaggi che ha 100 milioni di utenti in Brasile, circa la metà della popolazione, e che il social network fondato da Mark Zuckerberg ha comprato nel 2014 per 19 miliardi di dollari .
Diego Dzodan, vice president Latin America di Facebook, ovvero numero 1 nella Regione, è stato fermato dalla polizia federale sulla strada per San Paolo mentre stava andando in ufficio. Alcuni media internazionali hanno parlato di un arresto preventivo legato a una richiesta di informazioni. Gli agenti hanno agito su mandato disposto da un giudice della città di Lagarto, nello Stato di Sergipe (nord-est). L’accusa nei confronti di Facebook è di non aver collaborato con la polizia che aveva chiesto di accedere ad alcuni messaggi collegati a un’indagine su un caso di narcotraffico.
Dzodan deve rispondere ad alcune domande, ma è probabile che non sarà cosa veloce. Questo perché WhatsApp, e lo stesso Zuckerberg, ha sempre detto che non tiene alcuna traccia dei miliardi di messaggi che viaggiano sulla piattaforma. A inizio anno, inoltre, il numero uno Jan Koum ha detto che l’azienda sta mettendo a punto una piattaforma di criptaggio per tutelare ancora di più le conversazioni in tutto il loro percorso da uno smartphone all’altro. Come nel caso Apple-Fbi, non si può ignorare il contesto competitivo: per queste aziende la tutela della privacy del cliente è un elemento distintivo e competitivo, specie dopo la risonanza che ha avuto il caso Nsa.
Un portavoce di Facebook ha detto al sito americano Gizmodo: «Siamo amareggiati. Si tratta di una decisione estrema e non proporzionata. Siamo sempre stati disponibili e continueremo a collaborare con le autorità», ha aggiunto. Al Wall Street Journal la società ha detto che «la polizia ha arrestato qualcuno per dei dati che non esistono. Non possiamo dare informazioni che non abbiamo». È la seconda volta in tre mesi che Facebook ha problemi con le autorità brasiliane. Il 17 dicembre scorso un giudice brasiliano ha imposto la sospensione per 48 ore di WhatsApp in tutto il Paese perché l’azienda non aveva fornito alcune risposte legate a un’indagine.
Ci sono alcune affinità con il caso Apple, anche se in quel caso i dati richiesti ci sono, ma per essere forniti all’Fbi il giudice ha chiesto che l’azienda realizzi un software gemello del sistema operativo capace di violare il sistema di sicurezza dell’iPhone. Tra l’altro, un giudice federale di New York nei giorni scorsi è arrivato a una conclusione opposta a quella della corte californiana che indaga sull’attentato di San Bernardino, dicendo che il dipartimento di giustizia americano non può costringere la Apple a sbloccare un iPhone.
Il tema della privacy delle comunicazioni scambiate in rete, in special modo con la varietà di piattaforme disponibili al giorno d’oggi sul mercato, assume una rilevanza speciale: fino a dove ci si può appellare ad essa, specie in rapporto alle necessità di indagine per reprimere, o ancor meglio, prevenire fatti criminosi? La giurisprudenza degli Stati Nazionali è in azione per adattare le leggi alle necessità richieste da un mondo sempre più interconnesso, in special modo nell’ottica di impedire la nascita di ambienti “law-free” dove i malintenzionati possano agire indisturbati.
Il team Business Defence è molto sensibile ed attento al tema in questione, con un occhio di riguardo all’applicazione delle leggi in vigore per offrire un servizio sempre aggiornato ed in linea con le esigenze della propria clientela.
fonte: sole24ore.com