No del Garante alla banca dati on line della reputazione.

29 December 2016 IN Attualità , Diritto e fisco
No del Garante alla banca dati on line della reputazione.

Partiamo da due presupposti:

    1. l’iscrizione alla banca dati è volontaria
    2. la legittimità della raccolta di informazioni che possano contribuire a rendere le negoziazioni maggiormente affidabili, trasparenti e sicure.

  Invece il Garante dice no. No, perché “il rating reputazionale potrebbe influenzare le scelte altrui.” Ma non sarebbe meglio dire orientare, che poi è quello che lo strumento si prefigge di fare ? No, perché potrebbe condizionare l’ammissione degli interessati a prestazioni, servizi o benefici. Ma anche in questo caso trasformare la reputazione in un asset che genera valore non dovrebbe rappresentare un obiettivo per accrescere legalità e trasparenza di aziende ed enti ? Ecco quell’Italia che non si smentisce mai… quell’Italia dove purtroppo sappiamo bene che la corruzione è una sfida che resta aperta. Dove la pagella proposta ogni anno da Transparency è lo specchio della nostra reputazione nel mondo. Una cattiva reputazione che diventa sempre più solida e duratura grazie a scandali e arresti, e che contribuisce a mantenere bassi i livelli di fiducia nei confronti del nostro Paese. In tempi di “rating society”, dove interi nuovi mercati come quelli di Uber, Tripadvisor, Airbnb esistono solo grazie alle valutazioni dei clienti, in cui l’unica ragione per instaurare una relazione commerciale sembra dipendere dalle aspettative che si cristallizzano attorno al proprio interlocutore, avere una buona reputazione appare una risorsa quanto mai strategica. Insomma ci piaccia o meno, sia percepita o pretenda di essere oggettiva, la reputazione conta. E non lo si scopre oggi. Non è possibile ignorarla o cercare migliorarla sparando sui risultati o sui metodi utilizzati per raggiungerli. Fonte: Sole 24 Ore / Repubblica.it / Business Defence

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