Rating: Standard & Poor’s consegna la pagella all’Italia

23 October 2020 IN Attualità
Rating: Standard & Poor’s consegna la pagella all’Italia

Mercato tranquillo. Il sostegno della Bce e il previsto aumento degli acquisti di titoli di Stato mantengono calmi gli investitori: ieri nessuna tensione.
I rischi: un eventuale declassamento dall’attuale «BBB» porterà il Paese nell’ultimo gradino dei rating sicuri al livello già assegnato da Moody’ e Fitch.

 

Dal calore con cui è stato accolto ieri dagli investitori il nuovo BTp trentennale, sommerso da oltre 90 miliardi di euro di ordini d’acquisto, viene spontaneo tirare un sospiro di sollievo: è evidente che il mercato non sia preoccupato per la pagella che questa sera, dopo le 22,00, S&P Global Ratings consegnerà all’Italia. Attualmente l’agenzia di valutazione assegna una «BBB» con prospettive «negative», per cui oggi potrebbe anche decidere di declassare il Paese e allineare il suo voto a quello di Moody’s e Fitch nel gradino più basso dei rating “sicuri” (investment grade) e cioè BBB-.
In altri tempi una vigilia così delicata sarebbe stata vissuta con tensione sui mercati, anche perché, sul tema dei rating, l’autunno sarà caldo: il 30 ottobre sarà la volta di DBRS, il 6 novembre di Moody’s e il 4 dicembre di Fitch. Eppure, sebbene il debito pubblico abbia raggiunto vette elevate giustificando in fondo un taglio dei rating, l’appuntamento con la pagella di S&P sembra oggi quasi una passeggiata di salute. Qualche tensione c’è stata sullo spread BTp-Bund ultimamente, ma questo è stato in parte dovuto all’escalation dei contagi da coronavirus. La realtà è che gli investitori non sono affatto preoccupati. Tanto che il Tesoro si è permesso il lusso di collocare - con successo - un BTp trentennale alla vigilia di S&P.

 

I motivi della serenità
Le ragioni di questa tranquillità sui mercati sono almeno tre. Innanzitutto S&P assegna all’Italia un rating più elevato rispetto a Moody’s e di Fitch, appunto un gradino sopra la soglia che separa la “serie A” dei rating (investment grade) dalla “serie B” (speculative grade o livello “spazzatura”). Dunque se anche decidesse di declassare l’Italia, S&P continuerebbe a tenere il Paese in “serie A”. Inoltre il mercato sa bene che fin tanto che la Bce continuerà a comprare titoli di Stato, sui BTp resterà uno scudo di protezione non indifferente. Anzi: il mercato è già convinto che presto la Bce annuncerà l’estensione del piano di acquisti di titoli (Pepp) di altri 400-500 miliardi, rispetto agli attuali 1.350 miliardi di euro. Il rating, in questo contesto, preoccupa dunque poco.
Infine, guardando l’ultimo comunicato di S&P, quello del 24 aprile scorso quando l’agenzia di valutazione decise di confermare il giudizio «BBB», non emergono molte ragioni per prevedere un declassamento già oggi. Ad aprile S&P prevedeva già un debito pubblico in salita al 153% del Pil nel 2020 e una contrazione del Pil pari al 10% quest’anno. Scenario in linea, più o meno, con le previsioni attuali. Il motivo principale per cui S&P non declassò l’Italia allora era per gli acquisti della Bce, che avevano l’effetto di ridurre il costo del debito e dunque di renderlo sostenibile. Ebbene: anche questa condizione esiste tutt’oggi. Ad aprile S&P anticipava che avrebbe potuto tagliare il rating in futuro all’Italia in due casi: «Se l’andamento del debito/Pil non avesse imboccato una chiara strada di discesa nei prossimi tre anni», oppure «se le condizioni di mercato fossero peggiorate, aumentando il costo della raccolta». Entrambe le condizioni, ad oggi, non si sono verificate o sono premature. Detto questo, la partita resta aperta.

 

I rischi del declassamento
Ma il momento di grazia sui mercati non deve illudere: un declassamento di rating oggi rappresenterebbe comunque un problema per l’Italia. Perché l’avvicinerebbe ancora di più alla “serie B” (rating speculativi). Questo è un rischio perché tanti fondi non possono detenere titoli speculativi, per cui un’eventuale ulteriore declassamento comporterebbe vendite obbligatorie di BTp da parte di molti investitori. I principali indici obbligazionari presi come riferimento dal mercato hanno regole diverse per assegnare un emittente alla “Serie A” o alla “Serie B”. L’indice Ftse Russell usa solo due rating (di S&P e Moody’s) e per considerare un titolo “spazzatura” le sue regole prevedono che entrambe le agenzie lo portino a quel livello. Scenario ancora lontano. Gli indici Bloomberg Barclays, ICE BAML e Markit iBoxx, invece, guardano la media di tre rating (S&P, Moody’s e Fitch): dato che l’Italia i rating li ha tutti e tre, ne servirebbero due “spazzatura” per costringere i tre indici a “cacciarla” dalla Serie A e per far partire le vendite forzate sui BTp. Dunque ancora un po’ di margine il Paese ce l’ha. Ma non molto. Anche perché qualche fondo potrebbe iniziare a portarsi avanti e a vendere un po’ di BTp. Ecco perché con il rating non si scherza, anche in un mercato dominato dalla Bce: perché questo giudizio, opinabile quanto si voglia, determina il comportamento di molti investitori. Troppi.

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

 

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