Recovery Fund: intesa raggiunta su 750 miliardi, all’Italia 36 in più rispetto alla proposta di maggio
Dopo cinque giorni di vertice, è stato raggiunto l'accordo che apre la strada all'emissione di debito comune da parte della Commissione.
L’intesa raggiunta al vertice europeo sul Recovery Fund ed il Bilancio Ue 2021-2027 dopo una maratona negoziale di oltre 90 ore, porta all’Italia una dote di 209 miliardi. Il premier Giuseppe Conte è riuscito infatti a strappare un piatto più ricco (82 miliardi di sussidi e 127 di prestiti) rispetto alla proposta della Commissione di maggio.
Il Recovery fund (definito nei dettagli con la nuova proposta della Commissione Europea del 27 maggio 2020) sul quale i 27 capi di Stato e di governo del Consiglio europeo hanno raggiunto l’accordo, è un fondo garantito dal bilancio dell'Unione Europea da utilizzare per l'emissione dei recovery bond al fine di aiutare i Paesi colpiti dalla crisi economica in seguito alla pandemia Coronavirus. L'ambizione è quella di un piano che guardi oltre la crisi, con investimenti in transizione energetica, transizione digitale, solidità delle finanze pubbliche. Il nuovo progetto prende il nome di Next Generation EU: vuole infatti porre delle fondamenta più ambiziose per l'Europa della prossima generazione.
La dotazione complessiva del piano è rimasta fissata a 750 miliardi. Dopo varie oscillazioni (da 500 a 450 a 400) l'asticella della quota di sussidi si è fermata a 390 miliardi di euro. Questi ultimi sono trasferimenti a fondo perduto, con la Resilience e Recovery Facility, il cuore del Fondo per il rilancio economico, allocato direttamente ai Paesi secondo una precisa chiave di ripartizione, a 312,5 miliardi. La sforbiciata ha ridotto invece i trasferimenti spacchettati tra i programmi: 77,5 miliardi (rispetto ai 190 mld pensati dalla Commissione).
Due i criteri per la ripartizione: per il primo periodo ci si baserà sul livello di disoccupazione nel 2015-2019, per il 2023 invece il riferimento sarà la perdita di Pil reale nel 2020-2021. Il 70% degli aiuti dovrà essere impiegato nel 2021 e 2022. Il restante 30% invece nel 2023.
Anche i prestiti aumentano da 250 a 360. La nuova proporzione è soprattutto il risultato dei cinque paesi “frugali”– Austria, Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia – che volevano limitare il denaro a fondo perduto. Si tratta di prestiti con tripla A, maturity a trent'anni e tasso d'interesse zero.
Per ottenere il loro accordo vi è stato anche un forte aumento degli sconti (rebate) di cui godono i primi quattro paesi sopra elencati, tramite rimborsi di parte dei fondi versati al bilancio comunitario. I rebate, introdotti per la prima volta su richiesta del Regno Unito ai tempi di Margaret Thatcher, che con la Brexit molti leader Ue avrebbero voluto cancellare, in alcuni casi sono stati raddoppiati. Alla Danimarca sono andati 322 milioni annui di rimborsi (rispetto ai 222 milioni della proposta di sabato); all'Olanda 1,921 miliardi (da 1,576 miliardi) ; all'Austria 565 milioni (da 287), e alla Svezia 1,069 miliardi (da 823 milioni).
Sembra essersi risolta anche la spinosa questione della governance sull'attuazione delle riforme dei piani nazionali che dovranno essere presentati dai Paesi per avvalersi delle risorse. La chiave di volta è stato un super-freno di emergenza emendato, oggetto di un negoziato durissimo tra Giuseppe Conte e Mark Rutte durato fino all'ultimo minuto, del quale il coriaceo olandese alla fine si dice soddisfatto. In sostanza, i piani presentati dagli Stati membri saranno approvati dal Consiglio a maggioranza qualificata, in base alle proposte presentate dalla Commissione. La valutazione sul rispetto delle tabelle di marcia e degli obiettivi fissati per l'attuazione dei piani nazionali sarà affidata al Comitato economico e finanziario (Cef), gli sherpa dei ministri delle Finanze. Se in questa sede, “in via eccezionale”, qualche Paese riterrà che ci siano problemi, potrà chiedere che la questione finisca sul tavolo del Consiglio Europeo prima che venga presa qualsiasi decisione.
Fonte: Il Sole 24 Ore