Redditività e Npl: le sfide delle banche italiane nel 2022
S&P prevede che l’impatto della pandemia sarà più moderato nel 2022 e che gli effetti sui bilanci delle banche si manterranno gestibili.
“L’andamento dell’economia unito alle misure poste in essere dal governo sono state efficaci nel ridurre l’impatto della pandemia sulla qualità del credito delle banche”, ha dichiarato Mirko Sanna, director financial institutions di S&P Global Ratings.
Per restare competitive, ha affermato Sanna, le banche dovranno investire massicciamente sull’aspetto tecnologico dei propri servizi, tagliando al contempo una struttura di costi che frena la redditività del modello bancario. Questo metterà sotto pressione soprattutto gli istituti di medie dimensioni.
Una crescita economica superiore alle attese nel 2021 ha mantenuto sotto controllo l’impatto delle insolvenze sui crediti bancari italiani e, nel nuovo anno, le condizioni macro dovrebbero mantenersi favorevoli per il business delle banche. Con la (probabile) fine delle moratorie sui crediti e il possibile impatto del covid sulle piccole imprese nel 2022, tuttavia, S&P Global Rating si aspetta che lo stock di crediti deteriorati degli istituti italiani andrà ad aumentare nel nuovo anno – mentre gli accantonamenti rimarranno stabili. Sono alcuni degli elementi emersi nel corso della Italy Annual Press Conference tenuta dall’agenzia di rating americana. Secondo il director financial institutions di S&P Global Ratings, Mirko Sanna, a sostenere il comparto bancario italiano, nel caso in cui i crediti verso le piccole imprese dovessero andare in sofferenza, ci sarebbero le garanzie pubbliche sui prestiti (per ora inutilizzate).
A inizio 2021 si temeva il possibile impatto di un’ondata di insolvenze in Europa, a causa del graduale ritiro delle misure di sostegno alle imprese, come la moratoria sui crediti. A fine novembre meno del 5% dei prestiti alle imprese godeva ancora della moratoria e, secondo S&P, si può dire che il sistema bancario abbia subito conseguenze inferiori alle attese in termini di ripercussioni sulla qualità del credito erogato.
Con il miglioramento delle previsioni sulla crescita anche per gli anni successivi al 2021 l’impatto della pandemia sui bilanci delle banche “è stato e probabilmente sarà minore rispetto a quello che avevamo previsto”, ha dichiarato Sanna.
“L’andamento dell’economia unito alle misure poste in essere dal governo sono state efficaci nel ridurre l’impatto della pandemia sulla qualità del credito delle banche”, ha aggiunto l’esperto, “ci sarà comunque un impatto, a nostro avviso gestibile: c’è, infatti, un mercato secondario degli Npl molto attivo, graie al quale le banche trovano ampio spazio per cedere i loro non performing loans (Npl)”. Secondo Sanna, in passato fu la mancanza di ripresa economica in seguito alle recessioni a contribuire all’accumulo di Npl nei bilanci delle banche italiane. Con la crisi pandemica questo scenario non dovrebbe ripetersi in Italia. Dopo un +6,4% atteso per il Pil italiano nel 2021, S&P prevede un’ulteriore avanzata del 4,7% nell’anno in corso – un tasso più elevato rispetto a quello stimato per l’Eurozona nel suo complesso (+4,4%).
Il mercato nel 2021 si è comportato di conseguenza premiando il comparto finanziario del listino italiano: negli ultimi 12 mesi al 12 gennaio l’indice settoriale Ftse Italia Banche ha registrato ritorni del 41% contro il 22,85% registrato dal benchmark generale Ftse Mib. Il gap accumulato nel 2020, però, resta ancora da colmare.
Redditività e limiti del modello di business bancario
Buona parte delle sfide che le banche italiane dovranno iniziare ad affrontare con decisione nel 2022 hanno direttamente a che fare con le difficoltà del loro modello di business tradizionale, nel quale sono incastrati soprattutto gli istituti di medie dimensioni. Per restare competitive, ha affermato Sanna, le banche dovranno investire massicciamente sull’aspetto tecnologico dei propri servizi, tagliando al contempo una struttura di costi collegata a una rete fisica di sportelli sempre meno interessante per una quota crescente dei clienti. Questo trend andrà a favorire gli istituti di grandi dimensioni, in grado “diversificare le fonti di ricavi” e di affrontare gli investimenti necessari in nuove tecnologie e, dall'altro lato, quelli più piccoli e “agili, in grado di adattarsi alle nuove esigenze dei consumatori”. L’indicatore di redditività cost-to-income ratio, com’è possibile vedere dal grafico sottostante è più favorevole (ossia basso) agli estremi – da una parte, fra i due maggiori gruppi bancari italiani, dall’altro nella piccola e “agile” FinecoBank. Ciò che sta nel mezzo, come noto, è destinato entrare nell’orbita del consolidamento del settore attraverso operazioni di fusione e acquisizione promosse dai gruppi più grandi: “per noi è un processo inevitabile”.
“I bassi tassi d’interesse, uniti al fenomeno della digitalizzazione incide sulla capacità delle banche di mantenere un modello d'affari sostenibile”, ha affermato Sanna, ricordando come in Europa il return on equity, un altro popolare indicatore di redditività, si attesti in media poco al di sopra del 5%. I già citati fattori strutturali renderanno molto difficile per il comparto risollevare una capacità di generazione dei profitti relativamente contenuta.
Fonte: WeWealth