8 marzo: una giornata di riflessione
La Giornata internazionale dei diritti della donna ricorre l'8 marzo di ogni anno per ricordare sia le conquiste sociali, economiche e politiche, sia le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto in ogni parte del mondo.
Ecco perché questo giorno è dedicato a Mahsa Amini e a tutte le donne iraniane
Era il 13 settembre 2022, quando Mahsa (Jina) Amini, giovane donna curda di Saqqez, in visita a Teheran con la famiglia, è stata fermata dalla Gasht-e Ershad (letteralmente pattuglia della guida), unità speciale che fa rispettare il codice di abbigliamento islamico obbligatorio (hijab), perché a detta loro non indossava l’hijab in modo corretto.
Dopo essere stata trattenuta per essere interrogata, Masha è stata ricoverata dopo aver perso i sensi. In pochi giorni è morta all’ospedale Kasra. Le autorità hanno attribuito la morte a patologie preesistenti, ma la famiglia nega che ne avesse.
È stata la scintilla perché in Iran – protagoniste le donne sotto lo slogan “Woman Life Freedom” – divampasse una protesta che non accenna a smettere e che sta ponendo le basi di una rivolta per ottenere un Iran democratico. Le donne iraniane da tempo sfidavano l’obbligo del velo spingendo un po’ indietro sulla testa i foulard e indossando colori vivaci, ma l’anno scorso l’attuale presidente Ebrahim Raisi ha chiesto una più stretta applicazione delle regole.
L’insurrezione nazionale viene definita rivoluzione delle donne, evento dalla portata senza precedenti in Iran e nel mondo. Si sono uniti alla rivolta uomini di ogni età, classe sociale ed etnia in una coraggiosa dimostrazione di rabbia comune verso la brutalità della polizia, l’ingiusta presa di mira della giovane curda e il governo autoritario del regime islamico. Proteste inscritte nello slogan che risuona ovunque: “Donna, vita, libertà” (Zan, Zendegi, Azadi).
Le proteste
Le forme di azione collettiva nel paese sono plateali: giovani donne che bruciano i foulard, alcune che si tagliano i capelli in segno di lutto per Mahsa; altre che sfregiano le immagini dei leader clericali; altre ancora che camminano provocatoriamente senza velo. Fin dall’inizio, anche giovani uomini si sono uniti alle proteste, tirando pietre alla polizia e poi ad attaccando stazioni e veicoli di polizia.
Le nuove manifestazioni hanno coinvolto sia le classi medie urbane che le aree di lavoro rurali, oltre che ad alcune basi di potere della Repubblica islamica come le città di Mashhad e Qom. È stata la prima volta che così tante studentesse hanno partecipato ad una manifestazione. Pur continuando a protestare contro la morte di Amini e chiedendo la fine dell'obbligo dell'hijab, gli iraniani hanno anche richiesto maggiori libertà e più diritti per le donne, protestando contro la polizia morale, l'Ayatollah e il regime teocratico.
Diversamente da altre manifestazioni, si percepisce un’armonia molto forte e unita tra i manifestanti, sia tra quelli all’interno che tra quelli al di fuori dell’Iran, senza nessun leader specifico: una protesta nata dal basso tra i giovani dell’attuale generazione con l’appoggio delle generazioni precedenti. Ora il motivo delle proteste in Iran sotto lo slogan di «Donna, Vita, Libertà» ha un maggiore significato e richiede diritti fondamentali e giustizia per i cittadini, in un Paese ricco non solo per le risorse naturali ma anche per la sua cultura, tradizione e storia, in sofferenza totale da decenni.
La condizione della donna in Iran
Si può affermare che i diritti delle donne siano da sempre stati oggetto di proteste da parte del popolo iraniano.
Con la legge del 7 marzo del 1979 (casualmente promulgata il giorno precedente la festa della donna) si conclama l’ultimo giorno delle donne iraniane senza l’hijab. Furono 100.00 le donne, di ogni professione e ceto sociale, che presero parte a una pacifica dimostrazione per le strade di Teheran, ma la loro protesta venne soffocata con la violenza.
Da allora, le leggi contro la libertà di vestiario delle donne iraniane si sono fatte sempre più repressive, condannando a punizioni terribili la mancanza di rispetto delle norme.
Prima della rivoluzione l’Iran era un paese libero di costumi, ma il nuovo regime ha imposto alla donna un severissimo dress-code, che limita la libertà personale. Oltre al velo obbligatorio anche tanti altri diritti sono stati tolti: in tribunale due testimonianze di donne sono uguali alla testimonianza di un uomo; le donne ereditano la metà delle loro controparti maschili; le difficoltà e gli ostacoli nell’ottenere la custodia dei figli dopo il divorzio sono enormi, così come nel trasferimento della cittadinanza se si sposano con un cittadino non iraniano; sussiste l’obbligo di chiedere il permesso al marito o al padre per uscire dal paese o per lavorare; è quasi impossibile per una donna diventare giudice. Il valore della vita stessa di una donna è la metà di quello di un uomo.
In tutto questo, sia nel periodo della monarchia Pahlavi sia in quello della Repubblica Islamica, le donne e il codice sull’abbigliamento sono diventati strumenti fondamentali per dimostrare a tutto il mondo che l’Iran “è uno stato islamico” e che i suoi valori sociali sono lontani dalla monarchia Pahlavi influenzata dall’Occidente.
Dal ‘79 in poi, tutte le notizie, le foto e i video che uscivano dal paese o che venivano mostrati dalla stampa e dai media non iraniani confermavano perfettamente che il popolo iraniano seguiva le regole islamiche. L’uso del velo e il codice sull’abbigliamento sono entrati nel tessuto della società, completamente politicizzati da parte del regime islamico contro qualsiasi influenza non adatta alle loro ideologie.
Diritti delle donne, diritti di tutti
Tutti questi diritti sociali negati alle donne dallo Stato, si pongono in contrasto con la società progressista e attuale iraniana che è molto più aperta e avanzata rispetto alle regole esistenti. È sufficiente vedere il sostegno degli uomini alle donne nelle diverse che comprendono e hanno unito tutte le richieste degli iraniani contro le regole in contrasto alla società.
Mahsa, Nasrin, Nika, Hadith i nomi di donne e vittime di un asfissiante fondamentalismo religioso, ma anche simbolo di una ribellione animata che ormai trascende la questione femminile, e che da Teheran a Bandar Abbas, ha visto protagonisti ampi settori della società civile, inclusi i detenuti delle carceri e i lavoratori di alcuni importanti settori produttivi, specialmente quelli del petrolio.
Gli iraniani sono riusciti a dare un messaggio forte al governo e a tutto il mondo perché non ci si schieri più a favore di queste leggi discriminatorie, in particolare contro le donne, chiedendo un governo giusto e un referendum contro il fondamentalismo religioso strumentalizzato a fini di potere politico e per la libertà di espressione. Una richiesta di sostegno sociale, umano, su una questione nazionale, che non necessita di un intervento esterno dal resto del mondo, ma della solidarietà e del supporto di chi crede negli stessi diritti.
8 marzo dedicato alle donne iraniane
È a queste donne che combattono per tutte le altre, che giustamente viene dedicata la Giornata Internazionale dei diritti della Donna, un’occasione per riflettere su un tema fondamentale quale la libertà degli esseri umani di essere e diventare ciò che desiderano. Senza che nessuno arbitrariamente possa cancellare dall’oggi al domani diritti fondamentali.
Anche perché i diritti conquistati, purtroppo, vanno difesi sempre, perché basta un attimo di disattenzione perché vengano tolti.
Ricordiamo, infatti, l’abolizione da parte della Corte Suprema in alcuni Stati americani della storica sentenza Roe v. Wade che nel 1973 aveva riconosciuto il diritto all’interruzione di gravidanza tornando di fatto a renderlo vietato. O le discussioni in Italia, quando si sente troppo spesso parlare di ritoccare la legge 194, sempre sull’aborto.
Ecco come questa giornata assume un significato importantissimo, e noi in Business Defence ci teniamo a mostrare solidarietà e alleanza alle donne iraniane che oggi stanno combattendo per i loro diritti, per le legittime rivendicazioni di pari dignità tra tutti gli esseri umani, per la libertà dalle prevaricazioni, per l’autodeterminazione, per la possibilità di esprimere sé stesse, in ogni momento e in ogni luogo.
«Amata Žina [Mahsa], non morirai. Il tuo nome diventerà un codice [per la chiamata all'adunata].»
Fonti: ingenere.it/questionedigiustizia.it