Ristori, niente fondo perduto ai furbetti: il Fisco mette nel mirino le partite Iva fantasma
Il Fisco rafforza le misure di controllo contro le frodi per ottenere i ristori a fondo perduto. Con l’avvio del secondo canale di accesso all’indennizzo messo in campo dal Governo per sostenere le attività commerciali, del turismo, dello sport e della ristorazione penalizzate dai nuovi lockdown regionali, aperto da venerdì 20 novembre sul portale dell’agenzia delle Entrate e che si chiuderà il 15 gennaio 2021, le Entrate hanno introdotto un controllo preventivo sulle istanze presentate. I dati saranno incrociati con quelli contenuti nell’anagrafe tributaria. E solo se sarà riscontrata la coerenza tra i dati comunicati e le informazioni in possesso al Fisco, l’amministrazione finanziaria procederà alla lavorazione della domanda garantendo comunque l’emissione del bonifico sul conto corrente indicato nell’istanza in circa 10 giorni. In caso contrario la domanda sarà scartata.
Stop alle partite Iva fantasma
Ma cosa va a cercare il Fisco con i controlli preventivi? In primo luogo il rispetto dei requisiti base che danno diritto al contributo a fondo perduto. Per ottenere il ristoro, infatti, occorre essere una partita Iva attiva e non fantasma, attivata prima del 25 ottobre, e non deve essere cessata alla data di emissione del mandato di pagamento o di presentazione dell’istanza. L’altro requisito è quello dell’attività prevalente indicata dal codice Ateco. E questo perché i nuovi ristori raddoppiati o maggiorati rispetto a quelli erogati l’estate scorsa sono riservati a determinate dalle chiusure e dalle limitazioni anti Covid. In questo senso il contribuente che richiede l’indennizzo deve esercitare come attività prevalente alla data del 25 ottobre 2020 una di quelle riferibili ai codici Ateco indicati negli allegati 1 e 2 del decreto legge 149/2020 (il Ristori-bis che ha ampliato e integrato le categorie beneficiarie degli aiuti).
I dati contabili
Dall’anagrafe tributaria il Fisco verifica anche la presenza dei requisiti contabili richiesti per ottenere il contributo a fondo perduto, a partire dall’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019, nonché l’apertura della partita Iva dal 1° gennaio 2019. Si passano al setaccio, inoltre, i dati fiscali delle fatture elettroniche e dei corrispettivi telematici, quelli delle comunicazioni di liquidazione periodica Iva nonché delle dichiarazioni Iva.In sostanza l’amministrazione finanziaria, nonostante l’emergenza, non rinuncia alla sua cassetta degli attrezzi che utilizza quotidianamente per gli accertamenti sulle dichiarazioni dei redditi.
Controlli antimafia
Indipendentemente dall’importo del contributo erogato, le Entrate effettuano anche verifiche mirate per prevenire fenomeni di infiltrazioni criminali: questi controlli sono rafforzati e disciplinati dal protocollo d’intesa sottoscritto tra i ministeri dell’Interno, Economia e l’agenzia delle Entrate. I dati recuperati nel corso dei controlli possono essere trasmessi alla Guardia di Finanza, per le attività di polizia economico-finanziaria. Un meccanismo di controllo incrociato delle informazioni che nel corso della prima edizione del “fondo perduto” ha consentito al Fisco di bloccare in partenza oltre 160 milioni di euro di indennizzi in odore di frode e denunciare numerosi contribuenti alla procura della Repubblica.
Il recupero e le sanzioni
Oltre ai controlli preventivi e a quelli successivi sul diritto al ristoro, nel caso in cui l’indennizzo non sia dovuto, l’Agenzia avvia l’attività di recupero del contributo, con tanto di sanzione minima pari al 100 per cento e massima del 200 per cento delle somme incassate. Per questa sanzione non ci sarà alcuna possibilità di sconto o di definizione agevolata. Non solo. Sul fronte penale l’indebita percezione del bonus prevede o la reclusione da 6 mesi a 3 anni o, nel caso di contributo erogato di importo inferiore a 4mila euro, la sanzione amministrativa da 5.164 euro a 25.822 euro, con un massimo di tre volte il contributo indebitamente percepito. In caso di avvenuta erogazione del contributo, si applica la confisca.
Fonte: Il Sole 24 Ore