Le imprese femminili alle prese con la sfida post covid

18 May 2021 IN Attualità
Le imprese femminili alle prese con la sfida post covid

Gli effetti della pandemia hanno colpito pesantemente nell’ultimo anno il mondo del lavoro, specie quello delle imprese al femminile.


Donna e lavoro, un binomio che in Italia non sempre ha funzionato. In prospettiva occupazionale ed economica il solco tra uomini e donne è piuttosto profondo, una situazione che pone il Bel Paese tra gli stati in considerevole e crescente difficoltà nel progresso e nello sviluppo in Europa. Un baratro di genere che ha un peso a dir poco rilevante, comprovato maggiormente dall’elemento di sproporzione nel ruolo dirigenziale.


In un Paese in cui l’imprenditoria femminile è ancora limitata e per molti versi arretrata rispetto al resto d’Europa, le imprese al femminili sono ancora pochissime: «Secondo i dati del Mise, nell’ultimo trimestre 2020 solo il 13,3% delle start up innovative ha una prevalenza femminile, contro il 22% delle imprese – spiega Massimiliano Vercellotti, partner di EY -, mentre la presenza di almeno un membro femminile nella compagine azionaria si attesta al 42,6%, contro il 47% delle società di capitali. Fare impresa per una donna, quindi, è ancora oggi un percorso a ostacoli». Un percorso che la crisi del Covid ha reso ancora più difficile: dopo sei anni di crescita costante, l’Osservatorio sull’imprenditoria femminile di Unioncamere e InfoCamere ha registrato nel 2020 la prima battuta di arresto: appena un -0,29%, pari a quasi 4mila attività in meno rispetto al 2019, e tuttavia un segnale in controtendenza che lascia l’amaro in bocca. Anche perché, sottolinea l’Osservatorio, sono proprio le imprenditrici giovani quelle che hanno subito di più le conseguenze della pandemia. Oggi in Italia le imprese femminili sono oltre 1,3 milioni su un totale di 6 milioni e meno di 154mila sono quelle giovanili.


L’impatto del Covid sulle imprese femminili
I settori in cui tradizionalmente le donne sono più presenti restano commercio, turismo, assistenza alle persone e, tra le attività manifatturiere, il tessile. Proprio le attività più colpite dalla pandemia, si legge nell’Osservatorio.
Tuttavia, negli ultimi anni si è assistito a una crescita costante delle ditte individuali e società di capitali guidate da donne nei comparti a «maggior contenuto di conoscenza» così come aumentano le imprenditrici con competenze in ambito Stem.
«Prima della crisi non stava andando male per le imprese femminili – conferma la professoressa Valentina Meliciani, docente di economia industriale all’Università Luiss di Roma -, almeno come tassi di crescita. Certo, parliamo sempre di percentuali molto basse, attorno al 20% sul totale. Tuttavia, negli ultimi cinque anni stavano aumentando più rapidamente rispetto a quelle maschili».
Eppure, la pandemia sembra aver fatto venire in luce una sorta di debolezza strutturale dell’imprenditoria femminile: non tanto in termini di cessazioni (limitate dagli interventi del governo, che per ora hanno funzionato), quanto in termini di natalità lorda: «C’è una differenza enorme nei tassi di natalità, a discapito delle attività femminili – osserva Meliciani – che dunque hanno risentito di più della crisi, rispetto a quelle maschili, su tutto il territorio nazionale».
La maggior parte delle imprese hanno dovuto chiudere, una percentuale minore ha continuato a lavorare con il delivery e solo una minima parte ha continuato a lavorare senza subire un impatto particolarmente negativo sul business.


Sostegni all’imprenditoria femminile: la sfida del Recovery Plan
Sul fronte della politica, esistono diversi provvedimenti a sostegno dell’imprenditoria femminile.
Tra questi, la nuova Legge di Bilancio ha istituito un fondo d’investimento per incentivare le donne ad avviare attività imprenditoriali a partire da quest’anno, spiega Massimiliano Vercellotti: «Questo fondo ha una dotazione finanziaria di 20 milioni di euro per ciascuno degli anni 2021 e 2022 e verrà gestito attraverso un Comitato per le donne di impresa. Sono quindi previsti differenti forme di agevolazione tra cui contributi a fondo perduto, finanziamenti per le nuove start-up innovative e interventi specifici richiesti dalle imprese femminili».
Ma la vera sfida si giocherà con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), meglio noto come Recovery Plan: «La bozza precedente conteneva alcune misure, ma secondo me manca una coerenza tra i vari strumenti - osserva Valentina Meliciani -. C’è un capitolo che riguarda la coesione, dedicato a donne e giovani, ma le azioni specifiche si esauriscono lì, mentre nelle sezioni dedicate alla transizione digitale e alla transizione verde, non c’è traccia di una valutazione dell’impatto di genere delle varie misure. Questa frammentazione rischia di ridurre l’efficacia dei provvedimenti stessi o addirittura di aumentare le differenze di genere. Eppure non possiamo fallire questa partita».


È importante dunque supportare il più possibile la nascita e lo sviluppo di imprese al femminile perché anche se le donne non sembrano ancora ricoprire un ruolo significativo, quando sono presenti, il più delle volte, cambiano il volto dell’azienda.


Fonte: Il Sole 24 ore
 

Sign up for the newsletter

Keep up-to-date by following us on LinkedIn.